2 Co 7, 8-11 La tristezza secondo Dio è salvifica

(2 Co 7, 8-11) La tristezza secondo Dio è salvifica
[8] Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. E se me ne è dispiaciuto - vedo infatti che quella lettera, anche se per breve tempo soltanto, vi ha rattristati - [9] ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi. Infatti vi siete rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno da parte nostra; [10] perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte. [11] Ecco, infatti, quanta sollecitudine ha prodotto in voi proprio questo rattristarvi secondo Dio; anzi quante scuse, quanta indignazione, quale timore, quale desiderio, quale affetto, quale punizione! Vi siete dimostrati innocenti sotto ogni riguardo in questa faccenda. (CCC 1431) La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un'avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia nell'aiuto della sua grazia. Questa conversione del cuore è accompagnata da un dolore e da una tristezza salutari, che i Padri hanno chiamato “animi cruciatus [afflizione dello spirito]”, “compunctio cordis [contrizione del cuore]” [Concilio di Trento: DS 1676-1678; 1705; Catechismo Romano, 2, 5, 4]. (CCC 1432) Il cuore dell'uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all'uomo un cuore nuovo [Ez 36,26-27]. La conversione è anzitutto un'opera della grazia di Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo” (Lam 5,21). Dio ci dona la forza di ricominciare. E' scoprendo la grandezza dell'amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall'orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati [Gv 19,37; Zc 12,10]. “Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso per Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al mondo intero la grazia della conversione” [San Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 7, 4]. (CCC 736) È per questa potenza dello Spirito che i figli di Dio possono portare frutto. Colui che ci ha innestati sulla vera Vite, farà sì che portiamo il frutto dello Spirito che “è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22-23). Lo Spirito è la nostra vita; quanto più rinunciamo a noi stessi, [Mt 16,24-26] tanto più lo Spirito fa che anche operiamo (Gal 5,25). “Con lo Spirito Santo, che rende spirituali, c'è la riammissione al Paradiso, il ritorno alla condizione di figlio, il coraggio di chiamare Dio Padre, il diventare partecipe della grazia di Cristo, l'essere chiamato figlio della luce, il condividere la gloria eterna” [San Basilio di Cesarea, Liber de Spiritu Sancto, 15, 36: PG 32, 132].

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