Gaudium et spes n. 30 e commento CCC
30. Occorre superare l'etica individualistica.
Non pochi evadono con sotterfugi e frodi imposte e obblighi sociali
[n. 30c] Non pochi non si vergognano di evadere, con vari
sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali. Altri
trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio ciò che concerne la
salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non
rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e
quella degli altri.
(CCC 1916) La partecipazione di tutti all'attuazione del
bene comune implica, come ogni dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata delle parti sociali. La frode
e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono alle imposizioni
della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno condannati con
fermezza, perché incompatibili con le esigenze della giustizia. Ci si deve
occupare del progresso delle istituzioni che servono a migliorare le condizioni
di vita degli uomini [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 30]. (CCC 1887) Lo scambio dei mezzi con i fini [Giovanni Paolo
II, Lett. enc. Centesimus annus, 41],
che porta a dare valore di fine ultimo a ciò che è soltanto un mezzo per
concorrervi, oppure a considerare delle persone come puri mezzi in vista di un
fine, genera strutture ingiuste che “rendono ardua e praticamente impossibile
una condotta cristiana, conformata ai precetti del Sommo Legislatore” [Pio XII,
Messaggio radiofonico (1° giugno 1941)]. (CCC 1889) Senza l'aiuto
della grazia, gli uomini non saprebbero “scorgere il sentiero spesso angusto
tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo
aggrava” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus
annus, 25). E' il cammino della carità, cioè dell'amore di Dio e del
prossimo. La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa
rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e
soltanto essa ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé:
“Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la
salverà” (Lc 17,33). (CCC 1828) La pratica della vita morale animata dalla
carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta
davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in
cerca del salario, ma come un figlio che corrisponde all'amore di colui che “ci
ha amati per primo” (1Gv 4,19): “O ci allontaniamo dal male per timore del
castigo e siamo nella disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere
dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili ai mercenari. Oppure è per il
bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda che noi obbediamo […] e
allora siamo nella disposizione dei figli” [San Basilio Magno, Regulae fusius tractatae, prol. 3: PG
31, 896].