Eb 10, 8-9 Ecco, io vengo a fare la tua volontà

(Eb 10, 8-9) Ecco, io vengo a fare la tua volontà
[8] Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, [9] soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.
(CCC 606) Il Figlio di Dio disceso dal cielo non per fare la sua volontà ma quella di colui che l'ha “mandato (Gv 6,38), “entrando nel mondo dice: […] Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà. […] Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10,5-10). Dal primo istante della sua incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione redentrice il disegno divino di salvezza: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Il sacrificio di Gesù “per i peccati di tutto il mondo” (1Gv 2,2) è l'espressione della sua comunione d'amore con il Padre: “Il Padre mi ama perché io offro la mia vita” (Gv 10,17). “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Gv 14,31). (CCC 810) “Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 4; San Cipriano di Cartagine, De dominica Oratione, 23: PL 4, 553]. (CCC 1208) Le diverse tradizioni liturgiche, o riti, legittimamente riconosciuti, in quanto significano e comunicano lo stesso mistero di Cristo, manifestano la cattolicità della Chiesa. (CCC 1209) Il criterio che assicura l'unità nella pluriformità delle tradizioni liturgiche è la fedeltà alla Tradizione apostolica, ossia: la comunione nella fede e nei sacramenti ricevuti dagli Apostoli, comunione che è significata e garantita dalla successione apostolica. (CCC 1207) E' opportuno che la celebrazione della liturgia tenda ad esprimersi nella cultura del popolo in cui la Chiesa è inserita, senza tuttavia sottomettersi ad essa. D'altra parte, la liturgia stessa genera e plasma le culture. (CCC 1206) “La diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni, reciproche incomprensioni e persino scismi. In questo campo è chiaro che la diversità non deve nuocere all'unità. Essa non può esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, e alla comunione gerarchica. L'adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica” [Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 16].

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