Lc 19, 41-44

Lc 19, 41-44

(Caritas in Veritate 53d) La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l'uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L'importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone. A questo riguardo, la ragione trova ispirazione e orientamento nella rivelazione cristiana, secondo la quale la comunità degli uomini non assorbe in sé la persona annientandone l'autonomia, come accade nelle varie forme di totalitarismo, ma la valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto [130].

[130] Secondo San Tommaso «ratio partis contrariatur rationi personae» in III Sent. d. 5, 3, 2.; anche «Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua» in Summa Theologiae I-II, q. 21, a. 4, ad 3um.

Tra lavoro e capitale deve esserci complementarità

(CDS 277b) Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è la stessa logica intrinseca al processo produttivo a dimostrare la necessità della loro reciproca compenetrazione e l'urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali l'antinomia tra lavoro e capitale venga superata [595]. In tempi in cui, all'interno di un sistema economico meno complesso, il «capitale» e il «lavoro salariato» identificavano con una certa precisione non solo due fattori produttivi, ma anche e soprattutto due concrete classi sociali, la Chiesa affermava che entrambi sono in sé legittimi [596]: «né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale» [597]. Si tratta di una verità che vale anche per il presente, perché «è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l'opera unita dell'uno e dell'altro; ed è affatto ingiusto che l'uno arroghi a sé quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro» [598].

Note: [595] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 13: AAS 73 (1981) 608-612. [596] Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 194-198. [597] Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 109. [598] Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 195.


(Lc 19, 41-44) Ti cingeranno di trincee da ogni parte

[41] Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: [42] "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. [43] Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; [44] abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata".

(CDS 500) Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi [1049]. L'uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: «che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; — che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; — che ci siano fondate condizioni di successo; — che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune» [1050]. Se tale responsabilità giustifica il possesso di mezzi sufficienti per esercitare il diritto alla difesa, resta per gli Stati l'obbligo di fare tutto il possibile per «garantire le condizioni della pace non soltanto sul proprio territorio, ma in tutto il mondo» [1051]. Non bisogna dimenticare che «altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo impiego militare o politico. Né diventa tutto lecito tra i belligeranti quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata» [1052].

Note: [1049] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2265. [1050] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309. [1051] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi (1º maggio 1994), I, 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 12. [1052] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1103.

Sigle e Abbreviazioni: CDS: Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” LEV, 2004. DSC: Dottrina Sociale della Chiesa. CV: Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Caritas in Veritate”, 29. 6. 2009.

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