Gv 11, 47-57

Gv 11, 47-57

(Caritas in Veritate 6a) «Caritas in veritate» è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune. La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare.

Risorse energetiche: a servizio di tutta l'umanità

(CDS 470c) Un'attenzione particolare dovrà essere riservata alle complesse problematiche riguardanti le risorse energetiche [994]. Quelle non rinnovabili, alle quali attingono i Paesi altamente industrializzati e quelli di recente industrializzazione, devono essere poste al servizio di tutta l'umanità. In una prospettiva morale improntata all'equità e alla solidarietà intergenerazionale, si dovrà, altresì, continuare, tramite il contributo della comunità scientifica, a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell'energia nucleare [995]. L'utilizzo dell'energia, per i legami che ha con le questioni dello sviluppo e dell'ambiente, chiama in causa le responsabilità politiche degli Stati, della comunità internazionale e degli operatori economici; tali responsabilità dovranno essere illuminate e guidate dalla ricerca continua del bene comune universale.

Note: [994] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (28 ottobre 1994): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 2 (1994) 567-568. [995] Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Symposium sulla fisica (18 dicembre 1982): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 1631-1634.


(Gv 11, 47-57) Gesù doveva morire per riunire i figli di Dio

[47] Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: "Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. [48] Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione". [49] Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: "Voi non capite nulla [50] e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera". [51] Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione [52] e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. [53] Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. [54] Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli. [55] Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. [56] Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: "Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?". [57] Intanto i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potessero prenderlo.

(CDS 582) Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l'amore nella vita sociale — a livello politico, economico, culturale —, facendone la norma costante e suprema dell'agire. Se la giustizia «è di per sé idonea ad “arbitrare” tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore (anche quell'amore benigno, che chiamiamo “misericordia”), è capace di restituire l'uomo a se stesso» [1226]. Non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: «Il cristiano sa che l'amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l'uomo. Ed è ancora l'amore che Egli s'attende come risposta dall'uomo. L'amore è perciò la forma più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani tra loro. L'amore dovrà dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi anche all'ordine internazionale. Solo un'umanità nella quale regni la “civiltà dell'amore” potrà godere di una pace autentica e duratura» [1227]. In questa prospettiva, il Magistero raccomanda vivamente la solidarietà perché è in grado di garantire il bene comune, aiutando lo sviluppo integrale delle persone: la carità «fa vedere nel prossimo un altro te stesso» [1228].

Note: [1226] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1223. [1227] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 10: AAS 96 (2004) 121; cfr. Id., Lett. enc. Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1224; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2212. [1228] San Giovanni Crisostomo, Homilia De perfecta caritate, 1, 2: PG 56, 281-282.

Sigle e Abbreviazioni: CDS: Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” LEV, 2004. DSC: Dottrina Sociale della Chiesa. CV: Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Caritas in Veritate”, 29. 6. 2009.

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